giovedì 19 settembre 2013

Bentornata routine!


 
Eccomi qui, a fare un po' il punto della situazione.
Come state?
Spero bene e mi auguro che il vostro rientro non sia stato troppo traumatico: che sia scuola o lavoro, facciamoci forza, siamo tutti sulla stessa barca!
Per quanto mi riguarda è passata quasi una settimana dal mio "back to school" ed è inutile dire che il cambiamento già si sente.
Certo per ora la situazione è ancora abbastanza tranquilla, ma non si può fermare il tempo.
Guardo fuori dalla finestra ed è già buio alle 19:30, la mattina quando esco devo mettere la felpa perchè si gela, il pomeriggio passa fra un esercizio di matematica, uno di chimica e dieci pagine di Boccaccio...
Insomma, mi avete capito. E so per certo che vi trovate nella mia stessa situazione.
Come avevo già scritto in un post a settembre dell'anno scorso, a me questa stagione piace, piace davvero.
Lo so che dovrei abbattermi per l'anno scolastico e la mole di studio che mi aspetta, ma quando penso a quello che deve venire, una parte di me non riesce a fare a meno di gioire.
Sono stupido?
Non credo.
Mi piace l'estate per la libertà che regala, ma amo l'autunno e l'inverno per le piccole cose che portano con sè.
Il tè caldo alla mattina e il caffè alle quattro il pomeriggio che dona l'energia per studiare, le coperte pesanti e il tepore insostituibile del proprio letto, i libri alla sera, prima di dormire, i minestroni e gli spezzatini di mia madre, scaldarsi davanti al camino acceso, preparare il ciobar e sentirsi cuochi provetti...
Sembreranno idiozie, ma sono proprio queste che mi fanno sorridere solo a pensarci.
Si esce di meno, è vero, ma quando lo si fa ci godiamo meglio il tempo speso fuori, proprio perchè non accade spesso e possiamo viverlo come un premio per aver superato indenni ( o quasi ) tutti i giorni precedenti.
Azarsi presto ogni mattina è dura, durissima. A volte preferirei prendermi un pugno in faccia pur di lasciare il letto, se solo questo mi concedesse l'opportunità di potermi girare e continuare a dormire dopo averlo ricevuto.
Puntualmente, quando suona la sveglia e apro gli occhi mi maledico per essermi coricato troppo tardi la sera precedente e mi riprometto di farlo prima quella che deve venire, ma alla fine non lo faccio mai e mi ritrovo punto a capo.
Andare a scuola, stare in classe per cinque ore.
Non è facile. Non lo è per niente, ma quando mi giro e vedo la mia compagna di banco che ride ad una mia battutta, quando tutti esultano insieme al "Niente compiti per la prossima volta", quando condividiamo insieme gioie e dolori, allora mi dico che ne vale la pena.

Certo, studiare deve avere come fine un obiettivo più grande, la realizzazione di se stessi.
Ma quando quello sembra così incredibilmente lontano e non si ha più la forza di combattere, sono queste piccole cose che ci danno una piccola spinta e ci rimettono in moto.
Ragazzi, è la routine. La solita noiosa, piacevole routine.
Torna ogni anno, non abbiamo scampo. Possiamo prenderla con filosofia e guardarne i lati positivi o possiamo sopportarla e soffrire per nove mesi, agognando l'arrivo del caldo e della stagione estiva.
Ma pensateci: dovendo fornteggiarla, non è meglio farlo considerandone i pro e facendo di quello che più ci piace di questo periodo il carburante per andare avanti?

Mi piacerebbe davvero sapere cosa avete in mente voi, invece.
Condividete la mia riflessione oppure no?

Mi duole dirvi che da questo momento la mia presenza sul blog sarà meno assidua: ho ripreso a studiare, fra una settimana ricomincio il corso di tennis e inutile dirvi che appena ho un momento libero, lo dedico ai miei amati libri.
Vi prometto in ogni caso che non vi abbandonerò, lo giuro! ;)
Questa settimana non ci sono recensioni, essendo ancora fermo alle letture segnalate sulla colonna qui a sinistra.
In realtà sono immerso nella lettura di una fan fiction che mi ha preso molto e dunque mi sto dedicando unicamente a quella, che ho scoperto su consiglio di un'amica.
Sto pensando di fare un post proprio sulle fan fiction, non ne sono sicuro, ma ho quest'idea in testa e non mi dispiacerebbe parlarne.

Insomma, mi farò vivo presto!
Nel frattempo, vi auguro un enorme in bocca al lupo per tutto.
Always stay strong :)

- Lorenzo




mercoledì 11 settembre 2013

Recensione 'La verità sul caso Harry Quebert' - Joël Dicker

TITOLO: La verità sul caso Harry Quebert
AUTORE: Joël Dicker
TOTALE PAGINE: 770
CASA EDITRICE: Bompiani
PREZZO: € 19,50
TRAMA: Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere: è bloccato, non riesce a scrivere una sola riga del romanzo che da lì a poco dovrebbe consegnare al suo editore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e professore universitario Harry Ouebert, uno degli scrittori più stimati d'America, viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore, a Goose Cove, poco fuori Aurora, sulle rive dell'oceano. Convinto dell'innocenza di Harry Ouebert, Marcus Goldman abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta. Marcus, dopo oltre trentanni deve dare risposta a una domanda: chi ha ucciso Nola Kellergan? E, naturalmente, deve scrivere un romanzo di grande successo. 


Marcus Goldman ha tutto: è ricco, famoso, partecipa alle feste più esclusive, frequenta le attrici più conosciute di Hollywood.
Il suo romanzo d'esordio lo ha portato dalle stalle alle stelle, lo ha fatto conoscere a tutto il popolo americano e lo ha reso uno scrittore di successo.
E' tutto meraviglioso, fino a quando la realtà non bussa alla sua porta e il suo agente ed editore gli ricordano che il contratto da lui firmato gli impone di rimettersi al lavoro e scrivere un nuovo libro.
Marcus, però, ha un problema. La "malattia dello scrittore" lo ha colpito e la sua penna non riesce a produrre più nulla.
Goldman si dispera, tormenta la sua testa affinchè partorisca nuove idee, ma niente da fare.
Decide così di cambiare aria e lascia il suo appartamento a New York per trasferirsi dal suo amico ed ex insegnate universitario Harry Quebert nella città di Aurora, nel New Hampshire, sperando che la tranquilla cittadina gli regali l'ispirazione.
Qui Marcus riscopre i piccoli piaceri della vita tranquilla e riallaccia il rapporto con Harry, che non vedeva da tempo, ma per quanto riguarda il romanzo, non produce niente.
Angosciato e rassegnato, torna allora nella metropoli, ma pochi giorni dopo una telefonata lo riporta ad Aurora: il cadavere di Nolla Kellergan, che risultava scomparsa dall'estate del 1975, è stato rinvenuto nel giardino della casa di Quebert ed Harry è il primo sospettato dell'omicidio.
Goldman molla tutto e corre in soccorso dell'amico. Sa che è innocente e farà di tutto per scagionarlo, persino improvvisarsi investigatore.

Inizia così "La verità sul caso Harry Quebert", libro che mi ha incollato alla pagina fino alla fine e mi ha lasciato con il fiato sospeso in più di un'occasione.
Quella di Goldman e Quebert è una storia di verità e menzogne, un'altalena costante fra presente e passato per scoprire cosa è successo alla piccola Nola e perchè. 

Dunque il romanzo si presenta come un giallo, ma in realtà riesce a mescolare più generi insieme senza appesantire la narrazione: infatti, il libro ha sì i temi tipici del giallo, ma allo stesso tempo anche i ritmi incalzanti e tesi del thriller e scene degne di un romanzo d'amore, anche se a volte un po' troppo melense.

La chiave della buona riuscita del romanzo, a mio parere, sta proprio nel suo ritmo incalzante.
Una volta cominciato, il lettore non può semttere di leggere, perchè si trova risucchiato in un vortice di segreti e rivelazioni che lo trascina fino all'ultima pagina.
La narrazione è un continuo salto temporale fra il 2008 e il 1975, stracolma di flashback che vedono protagonisti Harry Quebert e la quindicenne Nola prima della sua tragica scomparsa nella notte del 30 agosto.
Dunque ci si ritrova catapultati direttamente nel cuore della vicenda e l'autore ci costringe ad analizzare l'accaduto dal punto di vista di ogni personaggio.
Ciononostante, questi continui sbalzi non hanno l'effetto di confondere il lettore, bensì quello di coinvolgerlo ancora di più nella vicenda, che egli può vivere in prima persona.

I personaggi sono profondamente caratterizzati e analizzati sul piano psicologico, da quelli che compaiono di più nella vicenda e sono più coinvolti, come Tamara, Robert e Jenny Quinn, i proprietari della tavola calda Clark's del paese, a quelli che invece appaiono più sporadicamente, come l'editor di Goldman, Barnaski, o la madre dello scrittore, estremamente ignorante e soprattutto petulante, ma le cui conversazioni al telefono con il figlio fanno morire dalle risate, proprio perchè estremamente ridicole.

La figura che colpisce di più fra tutte, però, è quella di Nola.
Una ragzza quindicenne che tutti definiscono gioiosa, solare e piena di vita, ma che in realtà porta dentro di sè un animo tormentato.
Appare come una donna forte, saggia e matura, ma come tutte le ragazze della sua età è solo una ragazzina insicura che ha bisogno di aggrapparsi agli altri perchè ha paura della solitudine e perchè non conosce se stessa.
Nola è la vittima, il cadavere, l'unica certezza nel romanzo: una quindicenne brutalmente uccisa.
E invece è un personaggio che in realtà non muore mai, la cui presenza si avverte fino in fondo in ogni pagina del libro, anche quando non si parla di lei, anche quando non è nominata.
E' una figura incredibilmente ambigua, ma che possiede un qualcosa di indefinibile capace di stregare.
Forse perchè arriva ad un certo punto del racconto a  sembrare consapevole e calcolatrice, quando invece è soltanto una ragazzina fragile e spaventata dal mondo.
Non puoi fare a meno di amare Nola, di sentirla vicina, di provare il bisogno di entrare fisicamente nella storia per aiutarla, proteggerla e salvarla dalla sua tragica fine.

L'unico appunto che posso fare ad un libro così ben studiato e coinvolgnete, riguarda laparte finale.
Negli ultimi capitoli, leggendo, ho avvertito come una sensazione di "eccesso".
In poche parole, mi è sembrato che Dicker si fosse fatto prendere un po' la mano, esagerando nei colpi di scena dell'ultima parte.
Questo perchè si va ad aggiungere a quelle precedenti un numero ancora maggiore di rivelazioni, che sconvolgono molto di quanto scoperto fino a quel punto e fanno perdere parte della precisione che l'autore aveva prima utilizzato per giustificare ogni singolo evento.
In poche parole, il libro voleva regalrci un ultimo colpo di scena che fosse sconvolgente e rovesciasse tutto, ma proprio per questo la storia mi sembra portata ad un eccesso.
Lo stesso colpevole è un personaggio di cui non si sarebbe mai sopsettato e, a mio parere, il suo movente è un po' troppo "semplice", se posso usare questo termine.

Tirando le somme, comunque, vi consiglio caldamente di leggere "La verità sul caso Harry Quebert", anche a chi non è un particolare amante di storie del genere.
Vi farà arrabbiare, rimanere a bocca aperta, storcere il naso davanti a dettagli che non vi convincono, vi lascerà perplessi, ma mai indifferenti.
In un modo o nell'altro, vi conquisterà.

Voto: 4,5/5

- Lorenzo



giovedì 5 settembre 2013

Recensione 'The Hungry City' - Philip Reeve





Titolo: The Hungry City
Autore: Philp Reeve
Numero pagine totali: 327
Casa editrice: Mondadori
Trama:  Futuro remoto. In seguito a un olocausto nucleare che ha causato terribili sconvolgimenti geologici, le città sono diventate enormi ingranaggi a caccia di altre città di cui cibarsi per sopravvivere.
Tom, giovane Apprendista Storico di Terza Classe, lavora nel museo di Londra, una delle città più potenti. Un caso fortuito porta il ragazzo a sventare il piano omicida di Hester, una giovane orribilmente sfigurata che attenta alla vita del capo della Corporazione degli Storici, l’archeologo Valentine. Prima che la misteriosa ragazza precipiti nel nulla del selvaggio Territorio Esterno, Tom riesce a farsi rivelare la sua identità.
Ma, da quel momento, da eroe si trasforma in preda.

La potenza visionaria con cui Reeve tratteggia un mondo immaginario eppure vicinissimo al presente, l’umanità profonda e inquieta dei personaggi rendono questo romanzo una delle avventure più incredibili e originali che il futuro abbia mai visto.


Parto subito col dire che 'The Hungry City' è stata per me una lettura un po' sofferta.

La storia è ambientata in un futuro lontano, in cui il mondo come noi lo conosciamo non esiste più e le città si sono trasformate in macchine enormi e mortali che si spostano di continuo per divorarsi a vicenda.
Fra queste, Londra è una metropoli e si sviluppa su sette immensi livelli, ognuno dei quali ospita abitazioni, parchi e strade.
In basso, nascosto agli occhi dei cittadini, c'è il Ventre, dove le città "mangiate" vengono smantellate e smontate per recuperarne metalli e materiali, mentre gli ex abitanti della città conquistata e inglobata da Londra vengono sfruttati come schiavi.
Al vertice, invece, hanno sede i più importanti edifici londinesi: il municipio e l'Ingegnericum, il palazzo della Corporazione degli Ingengeri.
A Londra, infatti, la popolazione è divisa in quattro corporazioni: Ingegneri, appunto, Storici, Navigatori e Mercanti.
Tom, il protagonista, è un Apprendista Storico di Terza Classe e lavora nel Museo della città, fino al giorno in cui, dopo aver lasciato il suo incarico per assistere alla cattura della città di Salthook da parte di Londra, viene spedito per punizione nel Ventre.
Qui incontra Thaddeus Valentine, il Capo della Corporazione degli Storici, e sua figlia Katherine, ma quando una ragazza, Hester Shaw, tenta di assassinare Valentine, Tom la ferma e la insegue.
Valentine, tuttavia, invece di essergli riconoscente, lo fa cadere in uno dei pozzi di scarico del Ventre e il giovane Apprendista si ritrova così lontano da Londra nel Territorio Esterno, con la sola compagnia di Hester, che si era buttata nella voragine prima di lui per non essere arrestata.

Ai nostri occhi si presenta dunque uno scenario post-apocalittico, dove la Terra è stata distrutta dalle precedenti guerre e le città sono costrette a cacciarsi tra di loro per procurarsi materie prime e manodopera.
'The Hungry City' è dunque un romanzo distopico, ma che, a differenza di altri ( essendo il distopico uno dei miei generi preferiti ) non ha saputo conquistarmi.

Innanzitutto, le descrizioni presenti sono molte meno rispetto a quante ne richiederebbe un libro del genere.
Il lettore, infatti, è curioso di sapere in che condizioni si trova adesso il pianeta Terra o come sia possibile che le città possano muoversi trasportando una mole immensa suddivisa in più piani, ma tale curiosità non viene soddisfatta.
I luoghi sono sempre presentati in maniera approssimativa e i dettagli sono davvero pochi.
Addirittura, non viene neanche spiegato in maniera effettiva come le città facciano a "mangiarsi" l'un l'altra. Semplicemente si descrivono la fase della caccia e dell'attacco, senza raccontare come sia possibile per una città inglobarne un'altra o come possano esistere macchinari talmente forti da sollevare un agglomerato mobile di case e palazzi.

Quello che manca al libro, poi, è un passato: l'autore non spiega nulla di come sia stata la vita prima che le città si mettessero in movimento, non racconta perchè furono costrette a farlo e come si organizzarono.
Ci sono riferimenti ai secoli precedenti alla storia narrata, ma sono pochi e comunque non sufficienti a riempire il vuoto di cui parlo. Si nomina spesso questa Guerra dei Sessanta Minuti, ad esempio, solo per giustificare la presenza dei Predatori Meccanici ( uomini trasformati in macchine da combattimento ), ma non si racconta mai di come questa guerra sia scoppiata o perchè e quali furono le sue conseguenze.

Questa mancanza si avverte molto nel corso della lettura del llibro, che procede principalmente come una sorta di romanzo d'avventura.
Il ritmo però è lentissimo e spesso la narrazione risulta noiosa.
Mancano scene di combattimento nudo e crudo e i momenti di suspence sono pressochè assenti.
Solo sulle battute finali il libro si riprende un po', ma si tratta degli ultimissimi capitoli che, pur essendo colmi di azione e risvolti inaspettati, non valgono assolutamente la fatica di aver letto fino a quel momento.

Una piacevole sorpresa è stata comunque il finale, punto a favore del romanzo: non è la solita banalissima chiusura e completa la narrazione con una bella scena e una riflessione su come la brama di potere e supremazia porti soltanto alla distruzione.

I temi trattati quindi non sono da poco, come in ogni romazno distopico: il totalitarismo, la sottomissione delle masse alla figura di un singolo, il coraggio della ribellione...offuscati però da una lettura che arranca e non riesce mai a coinvolgere appieno.

Un'altra annotazione riguarda anche i personaggi.
Mi è particolarmente piaciuto il contrasto fra le due figure femminili del romanzo, Hester e Katherine. Da un parte abbiamo la prima, combattente nata, dura e ardente di vendetta, la cui esperienza le ha insegnato a fidarsi poco degli altri, mentra dall'altra troviamo Kate, una ragazza cresciuta nell'agio, benestante e ignara del mondo che la circonda, ma dotata di una sensibiltà enorme e di una grande caparbietà.
Sono due ragazze dalla personalità molto forte, ma il punto è che lo sono forse troppo, in quanto, a mio parere, oscurano la figura di quello che dovrebbe essere il vero protagonista della vicenda, Tom.
Quest'ultimo infatti, non è caratterizzato appieno. Non si riesce a capire cosa provi davvero e i suoi pensieri risultano sempre poveri, come se non avesse mai un'idea ben precisa di quello che pensa, ma volesse comunque esprimersi per non rimanere muto.
Si ritrova a compiere gesta incredibili, ma non ha quasi per nulla la percezione di quello che fa e non ha proprio le cartteristiche di un tipico eroe.
Insomma, un personaggio che non rimane e a cui non riesci ad affezionarti.

Infine, un'ultima critica ad una scelta stilistica da parte dell'autore che io non condivido.
Il romanzo è narrato quasi completamente al passato remoto ma, in alcune scene, Reeve utilizza il presente.
Lo fa solo con alcuni personaggi, come Valentine, il sindaco di Londra, Crome, e il Predatore Meccanico, Shrike.
In quest'ultimo caso ne ho intuito il senso: si tratta di una macchina che ragione per mezzo dei suoi circuiti elettronici e che analizza momento per momento la situazione che gli si presenta.
Negli altri, però, non sono riuscito a coglierne il senso, e la cosa ha soltanto avuto l'effetto di rallentare ulteriormente il ritmo della narrazione.
In questo caso, però, può trattarsi soltanto di una mancanza da parte mia, perciò ogni smentita è ben accetta.

Insomma, concludo così: un romanzo che ha un grande potenziale in termini di trama e ambientazione sia temporale che ambientale, ma che non riesce a decollare.

Voto: 3/5.

Un'ultimissima cosa.
Voglio muovere una piccola polemica che non riguarda il libro, bensì la sua casa editrice italiana.
Conoscerete tutti quanti la saga di Hunger Games ( che io adoro ) o quantomeno ne avrete sentito parlare.
Dunque sapete del suo enorme successo e delle vendite che la Mondadori ha guadagnato con i libri che compongono la trilogia.
Ebbene, personalmente trovo che la scelta di cambiare il titolo del romanzo di Philip Reeve sia un chiaro tentativo di rimandere all'idea di Hunger Games, per invogliare così il lettore ad acquistare il libro o quantomeno ad incuriosirsene.
Il titolo 'The Hungry City' ( in italiano 'La città Affamata' ), infatti, sebbene dopo aver letto il romanzo posso affermare che sia azzeccatissimo per la storia, non è quello originale, che invece è 'Mortal Engines', ovvero 'Macchine Mortali'.
Diversa è invece la questione della copertina, che a mio parere è totalmente scollegata al libro. Il simbolo che essa raffigura non è mai citato nel romanzo, però somiglia incredibilmente, o almeno vi fa pensare, alla spilla della Ghiandaia Imitatrice che caratterizza la saga di Hunger Games.
Ora, capisco che ogni casa editrice abbia le sue strategie di marketing e che tutte cercano, ovviamente, di incrementare le vendite, ma a volte mi chiedo: un libro viene pubblicato perchè merita o solamente perchè si pensa che possa vendere?

A presto,

- Lorenzo