giovedì 5 settembre 2013

Recensione 'The Hungry City' - Philip Reeve





Titolo: The Hungry City
Autore: Philp Reeve
Numero pagine totali: 327
Casa editrice: Mondadori
Trama:  Futuro remoto. In seguito a un olocausto nucleare che ha causato terribili sconvolgimenti geologici, le città sono diventate enormi ingranaggi a caccia di altre città di cui cibarsi per sopravvivere.
Tom, giovane Apprendista Storico di Terza Classe, lavora nel museo di Londra, una delle città più potenti. Un caso fortuito porta il ragazzo a sventare il piano omicida di Hester, una giovane orribilmente sfigurata che attenta alla vita del capo della Corporazione degli Storici, l’archeologo Valentine. Prima che la misteriosa ragazza precipiti nel nulla del selvaggio Territorio Esterno, Tom riesce a farsi rivelare la sua identità.
Ma, da quel momento, da eroe si trasforma in preda.

La potenza visionaria con cui Reeve tratteggia un mondo immaginario eppure vicinissimo al presente, l’umanità profonda e inquieta dei personaggi rendono questo romanzo una delle avventure più incredibili e originali che il futuro abbia mai visto.


Parto subito col dire che 'The Hungry City' è stata per me una lettura un po' sofferta.

La storia è ambientata in un futuro lontano, in cui il mondo come noi lo conosciamo non esiste più e le città si sono trasformate in macchine enormi e mortali che si spostano di continuo per divorarsi a vicenda.
Fra queste, Londra è una metropoli e si sviluppa su sette immensi livelli, ognuno dei quali ospita abitazioni, parchi e strade.
In basso, nascosto agli occhi dei cittadini, c'è il Ventre, dove le città "mangiate" vengono smantellate e smontate per recuperarne metalli e materiali, mentre gli ex abitanti della città conquistata e inglobata da Londra vengono sfruttati come schiavi.
Al vertice, invece, hanno sede i più importanti edifici londinesi: il municipio e l'Ingegnericum, il palazzo della Corporazione degli Ingengeri.
A Londra, infatti, la popolazione è divisa in quattro corporazioni: Ingegneri, appunto, Storici, Navigatori e Mercanti.
Tom, il protagonista, è un Apprendista Storico di Terza Classe e lavora nel Museo della città, fino al giorno in cui, dopo aver lasciato il suo incarico per assistere alla cattura della città di Salthook da parte di Londra, viene spedito per punizione nel Ventre.
Qui incontra Thaddeus Valentine, il Capo della Corporazione degli Storici, e sua figlia Katherine, ma quando una ragazza, Hester Shaw, tenta di assassinare Valentine, Tom la ferma e la insegue.
Valentine, tuttavia, invece di essergli riconoscente, lo fa cadere in uno dei pozzi di scarico del Ventre e il giovane Apprendista si ritrova così lontano da Londra nel Territorio Esterno, con la sola compagnia di Hester, che si era buttata nella voragine prima di lui per non essere arrestata.

Ai nostri occhi si presenta dunque uno scenario post-apocalittico, dove la Terra è stata distrutta dalle precedenti guerre e le città sono costrette a cacciarsi tra di loro per procurarsi materie prime e manodopera.
'The Hungry City' è dunque un romanzo distopico, ma che, a differenza di altri ( essendo il distopico uno dei miei generi preferiti ) non ha saputo conquistarmi.

Innanzitutto, le descrizioni presenti sono molte meno rispetto a quante ne richiederebbe un libro del genere.
Il lettore, infatti, è curioso di sapere in che condizioni si trova adesso il pianeta Terra o come sia possibile che le città possano muoversi trasportando una mole immensa suddivisa in più piani, ma tale curiosità non viene soddisfatta.
I luoghi sono sempre presentati in maniera approssimativa e i dettagli sono davvero pochi.
Addirittura, non viene neanche spiegato in maniera effettiva come le città facciano a "mangiarsi" l'un l'altra. Semplicemente si descrivono la fase della caccia e dell'attacco, senza raccontare come sia possibile per una città inglobarne un'altra o come possano esistere macchinari talmente forti da sollevare un agglomerato mobile di case e palazzi.

Quello che manca al libro, poi, è un passato: l'autore non spiega nulla di come sia stata la vita prima che le città si mettessero in movimento, non racconta perchè furono costrette a farlo e come si organizzarono.
Ci sono riferimenti ai secoli precedenti alla storia narrata, ma sono pochi e comunque non sufficienti a riempire il vuoto di cui parlo. Si nomina spesso questa Guerra dei Sessanta Minuti, ad esempio, solo per giustificare la presenza dei Predatori Meccanici ( uomini trasformati in macchine da combattimento ), ma non si racconta mai di come questa guerra sia scoppiata o perchè e quali furono le sue conseguenze.

Questa mancanza si avverte molto nel corso della lettura del llibro, che procede principalmente come una sorta di romanzo d'avventura.
Il ritmo però è lentissimo e spesso la narrazione risulta noiosa.
Mancano scene di combattimento nudo e crudo e i momenti di suspence sono pressochè assenti.
Solo sulle battute finali il libro si riprende un po', ma si tratta degli ultimissimi capitoli che, pur essendo colmi di azione e risvolti inaspettati, non valgono assolutamente la fatica di aver letto fino a quel momento.

Una piacevole sorpresa è stata comunque il finale, punto a favore del romanzo: non è la solita banalissima chiusura e completa la narrazione con una bella scena e una riflessione su come la brama di potere e supremazia porti soltanto alla distruzione.

I temi trattati quindi non sono da poco, come in ogni romazno distopico: il totalitarismo, la sottomissione delle masse alla figura di un singolo, il coraggio della ribellione...offuscati però da una lettura che arranca e non riesce mai a coinvolgere appieno.

Un'altra annotazione riguarda anche i personaggi.
Mi è particolarmente piaciuto il contrasto fra le due figure femminili del romanzo, Hester e Katherine. Da un parte abbiamo la prima, combattente nata, dura e ardente di vendetta, la cui esperienza le ha insegnato a fidarsi poco degli altri, mentra dall'altra troviamo Kate, una ragazza cresciuta nell'agio, benestante e ignara del mondo che la circonda, ma dotata di una sensibiltà enorme e di una grande caparbietà.
Sono due ragazze dalla personalità molto forte, ma il punto è che lo sono forse troppo, in quanto, a mio parere, oscurano la figura di quello che dovrebbe essere il vero protagonista della vicenda, Tom.
Quest'ultimo infatti, non è caratterizzato appieno. Non si riesce a capire cosa provi davvero e i suoi pensieri risultano sempre poveri, come se non avesse mai un'idea ben precisa di quello che pensa, ma volesse comunque esprimersi per non rimanere muto.
Si ritrova a compiere gesta incredibili, ma non ha quasi per nulla la percezione di quello che fa e non ha proprio le cartteristiche di un tipico eroe.
Insomma, un personaggio che non rimane e a cui non riesci ad affezionarti.

Infine, un'ultima critica ad una scelta stilistica da parte dell'autore che io non condivido.
Il romanzo è narrato quasi completamente al passato remoto ma, in alcune scene, Reeve utilizza il presente.
Lo fa solo con alcuni personaggi, come Valentine, il sindaco di Londra, Crome, e il Predatore Meccanico, Shrike.
In quest'ultimo caso ne ho intuito il senso: si tratta di una macchina che ragione per mezzo dei suoi circuiti elettronici e che analizza momento per momento la situazione che gli si presenta.
Negli altri, però, non sono riuscito a coglierne il senso, e la cosa ha soltanto avuto l'effetto di rallentare ulteriormente il ritmo della narrazione.
In questo caso, però, può trattarsi soltanto di una mancanza da parte mia, perciò ogni smentita è ben accetta.

Insomma, concludo così: un romanzo che ha un grande potenziale in termini di trama e ambientazione sia temporale che ambientale, ma che non riesce a decollare.

Voto: 3/5.

Un'ultimissima cosa.
Voglio muovere una piccola polemica che non riguarda il libro, bensì la sua casa editrice italiana.
Conoscerete tutti quanti la saga di Hunger Games ( che io adoro ) o quantomeno ne avrete sentito parlare.
Dunque sapete del suo enorme successo e delle vendite che la Mondadori ha guadagnato con i libri che compongono la trilogia.
Ebbene, personalmente trovo che la scelta di cambiare il titolo del romanzo di Philip Reeve sia un chiaro tentativo di rimandere all'idea di Hunger Games, per invogliare così il lettore ad acquistare il libro o quantomeno ad incuriosirsene.
Il titolo 'The Hungry City' ( in italiano 'La città Affamata' ), infatti, sebbene dopo aver letto il romanzo posso affermare che sia azzeccatissimo per la storia, non è quello originale, che invece è 'Mortal Engines', ovvero 'Macchine Mortali'.
Diversa è invece la questione della copertina, che a mio parere è totalmente scollegata al libro. Il simbolo che essa raffigura non è mai citato nel romanzo, però somiglia incredibilmente, o almeno vi fa pensare, alla spilla della Ghiandaia Imitatrice che caratterizza la saga di Hunger Games.
Ora, capisco che ogni casa editrice abbia le sue strategie di marketing e che tutte cercano, ovviamente, di incrementare le vendite, ma a volte mi chiedo: un libro viene pubblicato perchè merita o solamente perchè si pensa che possa vendere?

A presto,

- Lorenzo





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